IL GABBIANO
di
Anton P. Checov


NOTE DI REGIA

CECHOV è, con ogni probabilità, il più grande scrittore russo di teatro ed uno dei più grandi in assoluto. A lui si deve una delle rivoluzioni più importanti nel campo della scrittura teatrale, che ha inaugurato un modo di concepire il teatro largamente diffusosi, poi, sulle scene occidentali per tutto il Novecento. Ai grandi drammi, alle passioni sconvolgenti, ai colpi di scena improvvisi cui era abituata la scrittura teatrale consolidatasi nel corso del XIX secolo, Cechov sostituisce la leggerezza di una scrittura che riesce a portare sulle scene il grigiore di una vita contesa fra un'aristocrazia in declino ed una borghesia timorosamente emergente. Solo una grande maestria nel raccogliere e dosare tutti gli elementi che compongono l'evento teatrale permette a Cechov di essere all'altezza dei grandi del passato che utilizzavano ben altri mezzi per rendere avvincenti le loro opere.

IL GABBIANO (Cajka, in russo) fu scritto dall'autore fra il 1894 ed il 1896 e costituisce la prima delle quattro maggiori opere di Cechov (seguiranno: Zio Vania, 1987; Tre sorelle, 1900; /I giardino dei ciliegi, 1903). Quando fu rappresentato la prima volta, il 17 ottobre 1896 al grande teatro Alessandrinskij di Pietroburgo da una delle più importanti compagnie russe, fu un fiasco clamoroso: le novità stilistiche del testo mal si conciliavano con l'impostazione tradizionale della compagnia che lo portò in scena e ne risultò un polpettone melenso e noioso. L'insuccesso convinse l'autore, alla sua prima opera importante, ad abbandonare il testo. Furono due altri rivoluzionari della scena teatrale che spinsero Cechov a non abbandonare Cajka assurgendosene il compito di riportarlo in scena: Konstantin Stanislavskij e Nemyrovic Dancenko. La sera del 17 dicembre del 1898, al piccolo Teatro d'Arte di Mosca, la commedia ebbe un successo clamoroso e segnò, forse, l'inizio del teatro contemporaneo.

LA MESSISCENA dell'Associazione Culturale "Le Colonne" tenta di unire la fedeltà alle classiche interpretazioni che del testo sono state date, con la novità di una personale rivisitazione. Si sa che Cechov e Stanislavskij avevano una diversa idea della natura più intima dell'opera: l'autore la considerava una commedia il cui scopo principale era quello comico, il regista la interpretava come un dramma sentimentale con risvolti tragici, soprattutto nel finale. Nella ricerca di far interagire dialetticamente le due interpretazioni trova il suo nucleo essenziale questa messiscena, affidando alla recitazione, alle luci, alle musiche, alle scene, ai costumi il compito di esprimere un saldo intreccio fra comicità e tragicità dei personaggi, fra tensione sentimentale e vuoto della quotidianità.

GIANCARLO LOFFARELLI