(...) Ciò che resta è la parola; parola evocatrice e creatrice, che deve scavare nel buio della scena attimi di esistenza, poiché il pubblico, mediatore lo Stage Manager, la figura demiurgica del regista, è collocato in quella situazione che è negata ad Emily ed ai viventi in genere, quella del veder vivere e, soprattutto del vedere il futuro.
(...) In fondo, si tratta di far parlare soprattutto il silenzio, gli spazi ricavati da un dire che tenta di dire la sua stessa assenza; e ciò è annunciato dall'unico brano musicale che utilizzo, mai a sovrapporsi alla parola, il secondo movimento della sonata n. 5 per violino e pianoforte in Fa maggiore, op. 24 di Beethoven.
(...) Agli attori chiedo che ogni atto possa darsi con la coscienza della sua unicità, caricandolo di senso oltre la sua banalità quotidiana, come insegna il teatro Nò. Ciò non vuol dire spersonalizzarsi, al contrario esprimere la personalità con un procedimento che sottrae anziché addizionare, che coglie l'essenziale anziché accumulare dettagli".
GIANCARLO LOFFARELLI